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La ragazza nella nebbia: ecco la spiegazione del finale del film diretto e sceneggiato da Donato Carrisi con Toni Servillo protagonista.
La ragazza nella nebbia è uno di quei film in grado di penetrarci nella psiche, di infiltrare nel proprio immaginario immagini e personaggi costruiti a regola d’arte, srotolando un percorso in cui la verità sembra essere perennemente dietro l’angolo.

Col suo primo film tratto dall’omonimo romanzo Donato Carrisi ci racconta una storia che poi diventa un’altra e all’interno della quale se ne nasconde un’altra ancora: un intreccio che confonde, ammalia, sicuramente disorienta, lasciandoci con un grumo di domande e la consapevolezza che, molto probabilmente, anche a noi (proprio come a Vogel) non interessa tanto trovare la verità quanto andare a fondo nella spettacolarità filmica, prolungare la straziante attesa che ci separa dal verdetto finale, così peculiarmente tempestata di indizi.

Giunti all’ultima immagine de La ragazza nella nebbia ciò che lo spettatore vuole avere è una spiegazione che sia pulita, disincrostata dalle infiltrazioni di domande che ci hanno tenuti con i nervi tesi per tutta la durata della pellicola. Ciò che vuole sapere è chi è il vero colpevole e qual è la verità dietro le maschere che si sono avvicendate dall’inizio alla fine.

Ma prima di arrivare alla conclusione è bene per lo meno capire la trama del film e puntualizzare che tutta la storia viene narrata in flashback: va a ritroso, cioè, su fatti già avvenuti e che il protagonista ha necessità di ricordare per comprendere il motivo del suo incidente. L’agente Vogel, infatti, interpretato da un impeccabile Toni Servillo, si ritrova a essere inghiottito dalla nebbia di Avechot e al suo risveglio non ha memoria di quanto accaduto nelle ultime ore; il suo corpo è incolume nonostante l’incidente d’auto, eppure i suoi vestiti sono ricoperti di sangue, ma il sangue di chi?

L’immersione nei mesi passati e l’introduzione alla vicenda inerente la scomparsa della sedicenne Anna Lou (Ekaterina Buscemi) in un piccolo paesino di montagna in cui si conoscono tutti è repentina a tal punto che potremmo facilmente dimenticare, nel corso della visione, che si tratta di un racconto in flashback e che ciò che ci viene mostrato altro non è che la ricostruzione fatta da Vogel, alla quale vanno a infiltrarsi altre visioni e spunti che potremmo definire esterni.
Insomma, il narratore scelto dal Carrisi è omodiegetico, immerso fino al collo nella storia che vuole raccontare e non ci sorprende se inizia a intuire la verità solo alla fine. Il regista e sceneggiatore fa in modo di far convergere l’attenzione dello spettatore proprio sul personaggio di Toni Servillo, di sincronizzarci col suo modo di vedere e affrontare un caso; Carrisi fa in sole due ore quello che tutti noi siamo involontariamente portati a fare nel corso di mesi o addirittura anni dinnanzi alla notizia di un clamoroso delitto: cercare il colpevole, commentare su chi parla della vittima, fare supposizioni a caso su persone che secondo i media sono sospette, giungere alla soluzione prima ancora che ci siano un corpo da esaminare, persone da interrogare, prove schiaccianti a cui appigliarsi.

È la macchina mediatica che si accende e il bello è che lo fa proprio davanti ai nostri occhi, senza battere ciglio. Vogel è talmente sicuro di come vanno le cose che ci affidiamo cecamente al suo istinto, dimenticando di vedere i dettagli e capire la verità. Così, quando alla fine appare il colpevole, rimaniamo interdetti e spaesati e con un grosso dubbio conficcato nell’anima.

Tuttavia, per scandagliare ogni tassello de La ragazza nella nebbia, occorre partire dal primo indiziato. No, non il ragazzo con la felpa che si avvicina per prendere un souvenir (quello è solo un abbaglio!), ma il professor Loris Martini (Alessio Boni), insegnante presso la scuola del paese, straniero in quella terra in cui si conoscono tutti, afflitto da problemi economici e, punto fondamentale: conoscitore della letteratura! Un dettaglio, quest’ultimo, che è la vera e propria arma di questo personaggio e anche uno dei pregi maggiori della pellicola, la quale converge in ogni sua particella nel farci capire come il male sia il vero motore della storia e il cattivo la pietra angolare di qualsivoglia racconto. Ed è proprio perché conosce così bene la costruzione del racconto che il professor Martini è il soggetto principe di questa macchina: sa come districarsi tra le ragnatele dei media, sa cosa lasciar passare fuori e cosa tenersi dentro; sa attirare le attenzioni su di sé e poi cancellare abilmente le tracce.
Dall’altro lato abbiamo Vogel, abile invece nell’infangare le prove in modo da trovare un colpevole ad hoc e consegnare al pubblico il famigerato “mostro”. Ma la sua richiesta fa scopa con l’intento del professore che, come ci viene mostrato nel film, costruisce su ogni suo passo un trampolino di lancio verso il successo e la risoluzione dei suoi problemi. Egli, come Pollicino, lascia molliche di pane che conducano verso la sua dimora immaginaria e lo incastrino come colpevole, ma senza prove! La mano tagliata per far prelevare il campione di DNA, la O tatuata sul polso come firma.
A fiancheggiare Loris Martini l’acerrimo nemico di Vogel, l’avvocato Giorgio Levi (Antonio Gerardi), che offre un aiuto concreto al professore lasciando emergere il modus operandi dell’agente interpretato da Servillo, ovvero la falsità delle prove e l’innocenza di Martini, che così passa da mostro a martire. Il problema di fondo, però, è che Vogel crede davvero che il colpevole sia proprio Martini, cosa che lo condurrà, a quanto pare, a commettere il suo omicidio.

Ma prima di arrivare frettolosamente alla fine occorre fare un passo indietro ed esaminare l’atteggiamento della giornalista sulla sedia a rotelle che espone al protagonista la sua teoria, mostrandoli un vero e proprio schema: un identikit dell’assassino noto come “l’uomo della nebbia” che avrebbe agito per la prima volta 30 anni prima uccidendo 5 ragazze, fisicamente molto simili ad Anna Lou, quindi capelli rossi e lentiggini.
Tuttavia la stampa, la stessa che viene favorita da Vogel, è anche quella che tenta di incastrarlo, e il fatto che una giornalista faccia irruzione nell’hotel in cui lui si è recato per le indagini ci porta a distogliere l’attenzione dalla tesi esposta dalla suddetta giornalista, facendo passare il secondo piano prove come il diario e la videocassetta.

Giungiamo finalmente alla conclusione de La ragazza nella nebbia! Vogel ha ricostruito il suo puzzle mentale, ha raccontato tutto allo psichiatra, il dottor Flores (Jean Reno), il quale ha concluso la conversazione col protagonista svelandogli che sì, prima dell’incidente ha ucciso Loris Martini, quindi non gli resta che chiamare gli agenti e farlo ammanettare.
Eppure, proprio mentre sta per uscire dalla stanza, Vogel si sofferma davanti a una scultura lignea che ritrae un pesce e guardando Flores commenta: “un pescatore che pesca sempre lo stesso pesce”. In quel momento ha capito tutto e se stiamo attenti riusciamo a capirlo anche noi: il pesce è la metafora delle ragazze assassinate da Flores, tutte con i capelli rossi, tutte simili. A conferma della sua colpevolezza una scatola di metallo che egli conserva gelosamente in quello che sembrerebbe il suo garage e nella quale si trovano 6 ciocche di capelli rossi, quindi si: ha ucciso le cinque ragazze 30 anni prima (quando Loris Martini non era ancora nato, e ne ha uccisa un’altra adesso).

Se a questo associamo l’immagine che ci viene mostrata: una ragazza morente e nuda sulla riva del fiume, con Flores al suo fianco in preda a un attacco di cuore, allora capiamo che è davvero lui il colpevole.
Sicuramente, un’altra ipotesi potrebbe essere avanzata: il professore ha agito imitando il serial killer della nebbia, proprio come i piccoli autori di romanzi tendono ad imitare i grandi, macchiandosi dunque le mani d’omicidio. O forse ha semplicemente approfittato dell’attenzione mediatica creatasi attorno alla sua persona, tranquillo del fatto di non aver comunque commesso nulla? Sta di fatto che la sesta ciocca rossa è in quella scatola di metallo.
Una cosa è certa: La ragazza nella nebbia si apre a tante interpretazioni e ci fa comprendere che la realtà è davvero un sistema complesso e che di verità ne esistono tante, forse troppe. Ma la cosa bella dell’opera di Carrisi è che non fa mai una piega, un passo falso, nulla! Il primo film dell’acclamato scrittore Sto arrivando! ingannarci anche oltre la fine e farci riflettere su cosa siamo e a cosa siamo disposti a credere.

Fonte: Cinematographe